Ancora una volta il governo mette le mani nelle tasche dei pensionati

Nazionale -

Chi pensava che un governo di centro destra potesse intervenire favorevolmente sulle pensioni dopo che alcuni suoi esponenti hanno per anni sparato contro la legge Fornero, resterà profondamente deluso.

Anziché affrontare in maniera strutturale il nodo della flessibilità in uscita, e delle pensioni delle future generazioni, si è riproposta la consueta modifica di alcuni parametri restringendo addirittura i vincoli, introducendo una pesantissima novità negativa sul calcolo delle pensioni di alcuni dipendenti pubblici, non rivalutando le pensioni in essere e riproponendo il meccanismo dell’aspettativa di vita che rappresenta una condanna senza appello per le future generazioni.

Quindi ancora una volta si fa cassa con le pensioni per finanziare la corsa agli armamenti, l’assurda ipotesi di costruire un ponte tra Calabria e Sicilia, inutile quanto costoso, e premiare un’evasione fiscale arrivata stabilmente ad oltre 1.00 miliardi l’anno.

È inaccettabile, ad esempio, che la cosiddetta tassazione degli extra profitti, in particolare quella sui capitali bancari, si sia tradotta in un meccanismo completamente inverso, con le banche che potranno trasformare in un aumento del loro capitale, riserva non distribuibile, quanto avrebbero dovuto versare alla fiscalità generale, per un mancato introito per l’erario di quasi 2 miliardi di euro, mentre dal sistema pensionistico si prelevano oltre 60,00 miliardi l’anno di imposte nazionali e locali.

Nulla sugli extra profitti delle società energetiche e farmaceutiche che hanno visto crescere oltremisura i dividendi per i loro azionisti, nulla sui grandi patrimoni mentre si tiene inchiodata a poco più di 500,00 euro mensili il valore della pensione minima, o dell’assegno sociale.

Un Governo che si allinea ai precedenti nello smantellamento dei diritti fondamentali sanciti dalla costituzione, per ampliare, nella logica liberista, l’intervento del mercato e trasformare i diritti in elemosina nel solco di un progressivo ritorno allo Stato Liberare preunitario di stampo caritatevole.

Di fronte a tale situazione che coinvolge anche l’intero sistema Sanitario, di cui gli anziani sono i principali utilizzatori, riteniamo necessario promuovere tutte le iniziative di lotta per rompere questo attacco a quella libertà dal bisogno che i nostri padri costituenti avevano posto come fine principale dello Stato.

Art.3 cost.  È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Basta bugie sulle Pensioni

La legge di Bilancio 2023 – esercizio finanziario 2024 –del Governo Meloni in discussione alle Camere, interviene in modo restrittivo rispetto a requisiti e regole di pensionamento oltre che peggiorativo riguardo al calcolo della rivalutazione delle pensioni in essere agli indici inflattivi.

Art.33 LEGGE DI BILANCIO - UNA MAZZATA PER I DIPENDENTI PUBBLICI

Sembrava impossibile fare peggio della Fornero ma il Governo Meloni/Salvini pare esserci riuscito, almeno per i dipendenti pubblici iscritti alle casse dell’ex INPDAP, come i dipendenti degli Enti Locali (CPDEL), gli insegnanti e le insegnanti degli asili nido parificati (CPI), i sanitari iscritti alla cassa (CPS), gli ufficiali giudiziari/aiutanti ufficiali giudiziari e coadiutori iscritti alla cassa (CPGU), facendo cassa con le loro pensioni.

Con l’Art.33 della legge di bilancio inviata alle Camere, si modifica l’aliquota di rendimento per il calcolo della pensione per chi ha meno di 15 anni nel sistema retributivo ed è iscritto alle casse citate, una platea di quasi 700.000 lavoratori.

Una rideterminazione a ribasso che, secondo alcune proiezioni fatte sulla base della nuova tabella “A” rispetto a quella introdotta dalla legge 965 del 26 luglio 1965, comporterebbe una perdita variabile tra i 200 e gli 800 euro al mese, in funzione dei mesi e delle annualità di lavoro presi a riferimento, sottraendo dal 2024 in poi migliaia di euro annui al futuro assegno previdenziale.

La perdita che questa disposizione causerebbe alle pensioni è stimabile tra il 5% fino al 25%, a seconda degli anni di contribuzione pre-96.

Una norma che si ripercuoterà negativamente in particolare sulle piante organiche del SSN, svuotandole ancor di più, per la minacciata fuga entro la fine dell’anno di chi tra medici ed infermieri ha già maturato il diritto a pensione, in un momento già reso drammatico da una gravissima carenza di specialisti a causa della errata programmazione perpetrata per oltre un decennio.

Le novità dal 2024 per andare in Pensione

REVISIONE QUOTA 103

Per evitare la figuraccia dell’aggravio della nuova ipotesi di quota 104 con l’aumento di un anno del requisito anagrafico a 63 anni di età, restando invariato il tetto contributivo a 41 anni, si fa finta di lasciare a 62 anni l’età già prevista da quota 103, ma senza alcuna vergogna si sposta la finestra di uscita di 7 mesi, che diventano 9 mesi per i dipendenti pubblici.

Una sorta di sconto di tre mesi rispetto a quota 104 e, senza vergogna, si rivendica il mantenimento di quota 103.

Inoltre, più pesantemente, per chi ricorrerà a questa modalità di uscita il calcolo della pensione sarà quello interamente contributivo, con una perdita secca del trattamento di pensione, anche per chi ancora può contare sul pro-rata retributivo.

OPZIONE DONNA E APE SOCIALE

Per l’uscita con “Opzione Donna”, che rimane soggetta sempre al vincolo del calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa, l’età di uscita si sposta più avanti di un anno arrivando di 61 anni, con la possibilità di riduzione di un anno per ogni figlio, fino ad un massimo di due anni.

Cambiano anche i requisiti per l’accesso all’Ape Sociale con l’aggiunta di ulteriori 5 mesi ai precedenti 63 anni di età.

L’importo massimo dell’assegno riconosciuto per chi esce con Ape Sociale è di 1.500 euro lordi mensili e resterà tale fino al raggiungimento dei 67 anni fissati dalla legge Fornero, momento dal quale sarà calcolato il nuovo importo della pensione

INNALZAMENTO IMPORTO SOGLIA

Per i lavoratori che hanno versato il primo contributo dopo il 1° gennaio 1996, che si trovano quindi soggetti al calcolo del “contributivo puro”, si innalza l’importo soglia per accedere alla cosiddetta pensione anticipata con il requisito di 20 anni di contribuzione e 64 anni di età, a cui si aggiungono ulteriori tre mesi.

L’importo minimo della pensione passa da 2,8 a 3,0 volte l’importo dell’assegno sociale, ciò significa che per andare in pensione “in anticipo” bisognerà aver raggiunto una pensione non inferiore a circa 1.749 euro lordi, ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio e a 2,6 volte per le donne con due o più figli.

Se non si raggiunge tale valore si dovrà attendere l’uscita a 67 anni, salvo ulteriori aumenti a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita.

Il trattamento di pensione anticipata è riconosciuto per un valore lordo mensile massimo non superiore a cinque volte il trattamento minimo.

AUMENTO ASPETTATIVA DI VITA

Per i giovani, per la cui pensione tutti dicono di preoccuparsi, si spalanca il baratro del meccanismo dell’adeguamento all’aspettativa di vita che bloccato fino ad oggi interviene sia sul progressivo aumento del requisito anagrafico che sulla riduzione dell’importo pensionistico, avendo già cancellato l’adeguamento al minimo, per le future pensioni contributive.

Il meccanismo riprenderà a produrre i suoi effetti dal 2025 con la prospettiva, entro breve tempo, di porre l’uscita dal lavoro all’età di 70 anni e con pensioni da fame, visto il calcolo puramente contributivo e le basse e discontinue retribuzioni/contribuzioni.

RIVALUTAZIONE E SCAGLIONI PEREQUAZIONE

Come anticipato, in premessa, viene ulteriormente rivisto anche il meccanismo di rivalutazione delle pensioni a fronte dell’aumento dell’inflazione.

Solo per le pensioni con un importo lordo fino a 4 volte il trattamento minimo si riconoscerà il 100% dell’adeguamento al costo della vita, che per il 2023 sembra sarà fissato tra il 5 ed il 6%.

Per le pensioni tra le 4 e 5 volte il trattamento minimo la percentuale che doveva essere riportata al 90% dopo ripensamenti dell’ultim’ora è ritornata all’85%, con un’immediata perdita del potere di acquisto.

Per gli altri scaglioni rimane invariata la percentuale fissata nel 2023 tranne che per quelle oltre 10 volte il trattamento minimo, che viene abbassato di 10 punti percentuali e cioè passa dall’attuale 32% al 22%.

Il peggioramento di tali percentuali di rivalutazione, si ripercuoterà, così come lo è stato per il 2022, anche rispetto agli aumenti che verranno calcolati sulla base del valore dell’inflazione, sicuramente più bassa a quella reale con un tasso stimato poco sopra del 5% rispetto all’8,1% del 2023 o, meglio, del 7,3% fatto salvo il differenziale dello 0,8% che come previsto dal decreto aiuti dovrebbe essere riconosciuto anche se non è dato capire da quando!!!

Sottolineiamo con forza che l’ulteriore incremento dello 0,8 corrisponde per una pensione minima a poco più di 4 (QUATTRO) euro al mese, come dire due litri di benzina, alla faccia del recupero dell’inflazione.

Ad ogni buon conto, riportiamo la tabella (in fondo all'articolo) in cui mettiamo a confronto le percentuali di rivalutazione attuate nel 2023 con quelle in programma nel 2024 ed il differenziale di recupero dello 0,8% (4 euro) che doveva già essere erogato ad inizio 2023, atteso che l’inflazione programmata era all’8,1% e non già al 7,3%, così come definita dal Ministro del Tesoro Giorgetti con la manovra finanziaria 2023, facendo cassa sui pensionati per un importo annuo di circa 3 miliardi e 300 milioni  Fonte Banca d’Italia.

In ultimo vogliamo rivendicare ancora una volta quali dovrebbero essere gli interventi sulle pensioni che riteniamo fondamentali:

  • Revisione strutturale del sistema, superando il sistema di calcolo contributivo e riconoscimento dei periodi di interruzione involontaria dl lavoro;
  • Innalzamento valore della pensione minima a 1.000,00 euro netti per 13 mensilità;
  • Riduzione del prelievo fiscale alla media degli altri Paesi europei pari al 10/12% medio a scalare, considerando che al 2013 il prelievo fiscale in Spagna si aggirava intorno al 9,5%, nel Regno Unito al 7,2%, in Francia al 5,2%, in Germania allo 0,2% (studio Confesercenti);
  • Riconoscimento al 100% del valore della pensione di reversibilità per famiglie monoreddito, almeno fino al valore massimo di 2 volte l’importo della pensione minima.
  • Riconoscimento Bonus integrativo L.21/2020 “già bonus Renzi” mai erogato ai pensionati.

Appuntamento giorno 23 novembre 2023 ore 10,30

presidio sotto il ministero dell’Economia via XX Settembre

 

USB Pensionati FdS