Flessibilità in uscita: ancora una spinta verso i fondi pensione. Basta finanziare le lobby, serve aumentare il valore delle pensioni

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La riforma Dini del 1995 aveva stabilito, oltre all’introduzione del calcolo “contributivo puro” con il quale si sarebbero calcolate le pensioni per i lavoratori che versavano il primo contributo a partire dal 1996, la possibilità di accedere alla flessibilità in uscita con la “pensione anticipata” avendo raggiunto un minimo di  64 anni di età e 20 anni di contribuzione, avendo però maturato un valore della pensione, il cosiddetto “importo soglia”, non inferiore a 1,5 volte  l’importo mensile dell’assegno sociale in vigore. Con la legge di bilancio 2024/2025 il governo Meloni ha stabilito (vedi nostro comunicato del 28/01/2025) un innalzamento di tali requisiti portando i contributi utili ad un minimo di 25 anni a partire dal 2025 e a 3 volte il valore della pensione sociale come limite “dell’importo soglia” fissato dal 2024 a 1603,23 euro.

Per consentire di raggiungere tale importo, vista la riduzione del valore delle pensioni derivante dall’introduzione del calcolo contributivo, dai bassi salari, dalla discontinuità e precarietà del lavoro e l‘insufficiente contribuzione, e garantire “l’uscita anticipata”, il governo Meloni ha quindi stabilito di poter sommare al valore della pensione ordinaria l’importo della rendita pensionistica ottenuta con l’adesione ad un Fondo Pensione. Detto in altri termini una nuova spinta neanche tanto mascherata verso l’adesione ai Fondi Pensione che, dalla loro istituzione, non riescono a decollare secondo le aspettative.

In questi giorni l’On. Durigon sottosegretario al mistero del Lavoro e delle politiche sociali, per il quale si dovrebbe passare ad un’adesione forzosa ai Fondi Pensione con il versamento obbligatorio di almeno il 25 % del TFR,  torna sul lugo del delitto e propone di inserire nella nuova legge di bilancio 2025/2026 una nuova spinta verso i Fondi Pensione, spacciandola per flessibilità in uscita, estendendo il possesso dei requisiti descritti prima a tutti i lavoratori, a prescindere dall’inizio del versamento del primo contributo utile, pre o post 1996.

Detto in altri termini a tutti i lavoratori per i quali vale il cosiddetto sistema misto (retributivo-contributivo) per il calcolo della pensione, in vigore dal 2012 a seguito della Legge Fornero.

La strategia di affrontare la questione pensioni attraverso le cosiddette riforme parametrali, invece che rivederne l’intero impianto come sostiene da tempo la USB, sta mostrando tutti i suoi limiti, affastellando criteri a criteri, requisiti a requisiti, e costringendo con il silenzio assenzo all’adesione ai Fondi Pensione gestiti secondo le logiche di accumulazione del capitale che non escludono neanche l’investimento in “Titoli di Guerra”. Il costo di un aereo F35 corrisponde secondo il sole 24 ore a 3.200 posti letto ed il costo di un carro armato ad oltre 10.900 pensioni minime. Una vera riforma delle pensioni dovrebbe partire in primo luogo da questi dati, dal rifiuto di finanziare le lobby degli armamenti e aumentare invece il valore delle pensioni minime oggi inchiodate a 534,41euro mensili.

Roma 27/08/2025                                                                      

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