Il combinato disposto per i dipendenti pubblici in tema di pensionamento: Commi 162 e 165 legge di bilancio

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Qualcuno forse ricorderà la modifica dei coefficienti di trasformazione, per il calcolo della pensione relativamente alla quota “A” del calcolo retributivo dei dipendenti pubblici, che il Governo Meloni voleva introdurre con la legge di bilancio 2023 e che costrinse medici ed infermieri a minacciare uno sciopero ed un pensionamento di massa a dicembre dello stesso anno, vista la perdita notevolissima che si sarebbe avuta sull’assegno pensionistico.

In quella occasione preso atto della situazione gravissima relativa al sistema sanitario nazionale il Governo Meloni fece marcia indietro rispetto a tale settore, lasciando però invariato il provvedimento per tutti gli altri dipendenti pubblici, apportando però una modifica relativa al tipo di pensionamento.

Chi fosse andato in pensione con il requisito dei 67 anni (vecchiaia) non avrebbe subito penalizzazioni, chi invece fosse andato in “pensione anticipata” con il requisito contributivo avrebbe dovuto subire il pesantissimo taglio dell’importo della quota “A” retributiva della pensione.

La scappatoia per i dipendenti pubblici a questa mannaia era comunque rappresentata dalla cosiddetta “pensione ordinamentale” per la quale le varie amministrazione mettevano in congedo obbligatorio, con un provvedimento d’ufficio, i propri dipendenti che, al raggiungimento dei 65 anni di età, avevano raggiunto i requisiti contributivi della pensione anticipata, vietandone la permanenza in servizio e soprattutto senza fare alcun taglio sulla pensione.

I nuovi interventi del Governo Meloni in tema di pensionamento dei dipendenti pubblici, commi 162 e 165 della legge di bilancio appena approvata, modificano proprio i limiti ordinamentali previsti dai rispettivi settori di appartenenza, rimettendo tutto in discussione.

Il comma 162 riallinea l’età di pensionamento obbligatorio, ove inferiore, al requisito per il raggiungimento della pensione di vecchia.

Di fatto l’età ordinamentale fino a ieri fissata a 65 anni per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici viene prolungata fino a 67 anni.

Con buona pace del sorprendente sottosegretario Durigon, il quale ha dichiarato la sua contrarietà all’allungamento dal 2027 dell’età pensionabile di quattro mesi, a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita rimessa in vigore proprio dal Governo Meloni, dopo il blocco della pandemia.

Per effetto del combinato disposto delle due norme, quella sul taglio della quota “A” della pensione e quella sull’età ordinamentale, chi pensava di poter andare in pensione a 65 anni, senza subire penalizzazioni, si troverà costretto a restare due anni in più, altro che quattro mesi, fino ai 67 anni, nuovo limite ordinamentale per il mantenimento obbligatorio in servizio.

Infine, con il comma 165, viene disposta, su base volontaria, la possibilità di permanenza in servizio fino all’età di 70 anni ma solo per una quota pari al 10% delle facoltà assunzionali già approvate, ed in base alle esigenze organizzative e di merito, oltre che alla necessità di tutoraggio e affiancamento ai neoassunti.

Un provvedimento che chiarisce la volontà del Governo di prolungare l’età della pensione fino a 70 anni, oltre che consegnare la materia pensionistica dei dipendenti pubblici alla totale discrezionalità delle varie amministrazioni bloccando il turn over, riducendo le facoltà assunzionali che boccheggiano in perenne mancanza e di ossigeno, pressando ancora di più a favore dell’esternalizzazione dei servizi al privato.

Dopo il rinnovo di un contratto a perdere, i dipendenti pubblici hanno così ricevuto dal Governo Meloni il benservito anche in merito al loro futuro pensionistico.

 

Roma 24 gennaio 2025                                     USB Pensionati FdS