Mes? No, grazie. Usiamo i soldi che Fondi e Casse previdenziali investono all’estero

Roma -

I dati illustrati nel report del presidente della COVIP (organismo di controllo sui fondi pensione) Mario Padulasugli investimenti dei Fondi e delle Casse previdenziali privatizzate (vedi anche articolo di Davide Colombo sul Sole 24 Ore del 3 ottobre) dovrebbero determinare la necessità di una profonda riflessione, non solo sulla cosiddetta previdenza complementare ma anche su quella che, rispetto alle informazioni del report, appare una paradossale discussione sul ricorso al cosiddetto MES ed al Recovery Fund.

Da giorni stiamo assistendo all’avvitamento della discussione politica su questi due strumenti di finanziamento di carattere eccezionale previsti per fronteggiare le conseguenze della diffusione della pandemia e delle relative ricadute economiche, mentre senza alcun soprassalto passa la notizia che  il risparmio previdenziale dei lavoratori italiani gestito da Fondi e Casse, scavalca i confini nazionali finanziando di fatto le imprese estere che fanno concorrenza a quelle italiane.

Investimenti che, fuori dal territorio nazionale, si traducono in sviluppo ed in nuovi e più ampi livelli di occupazione, mentre la disoccupazione giovanile nel nostro Pese viaggia intorno al 30%, senza contare la precarietà e bassissime retribuzioni.

Hanno raggiunto i 38 miliardi gli vestimenti “non domestici” effettuati dalle Casse, mentre i Fondi Pensione hanno riversato fuori confine più di 83 miliardi, ovvero il doppio del valore del tanto discusso MES, per un totale di 121 miliardi che hanno abbandonato il territorio nazionale. Si tratta, è bene sottolinearlo con forza, di risparmio previdenziale, ovvero di risorse provenienti dal mondo del “lavoro nostrano”, che prendono il largo grazie alla mobilità dei capitali sancita con la globalizzazione dei mercati.

Non torniamo a ripetere le considerazioni ampiamente svolte sulla funzione speculativa di investimenti che dovrebbero garantire il cosiddetto secondo pilastro del sistema previdenziale, resosi necessario (sic!) con il passaggio al calcolo contributivo delle pensioni e la conseguente privatizzazione della previdenza pubblica.

Ci chiediamo e chiediamo invece se non appaia quanto meno paradossale la discussione tra le forze politiche, con l’immancabile compagnia delle confederazioni sindacali Cgil, Cisl,Uil, sulla necessità di chiedere o meno il MES pari a 37 miliardi, quando solo i Fondi Pensione trasferiscono all’estero 83 miliardi, più del doppio di quel valore, risorse che il paese possiede grazie al cosiddetto risparmio previdenziale.

Ci chiediamo e chiediamo: non sarebbe più semplice ed immediato e forse anche con minori “condizionalità”, investire quegli 83 miliardi più i 38 “non domestici” delle Casse nell’economia italiana a sostegno delle imprese e dell’occupazione invece che finanziare la loro concorrenza estera? Perché bisogna ricorrere a finanziamenti provenienti da istituzioni esterne quando abbiamo in pancia oltre 254 miliardi, che possono sostenere subito l’andamento della nostra economia?

Qualcuno risponderà: è la finanza internazionale bellezza, è la speculazione dei capitali, è la ricerca di investimenti remunerativi a sostegno della previdenza complementare.

Certo! Verissimo! Ma allora non parliamo più di sostenibilità del sistema previdenziale, né di necessità del MES, né di superamento, fine della cassa integrazione e di mano libera sui licenziamenti.

Come si suol dire, le chiacchiere stanno a zero, altro che riforma del sistema previdenziale, quella che serve è la riforma dei Fondi Pensione ovvero la loro abolizione nella loro attuale regolamentazione.

 

Unione Sindacale di Base - Pensionati