Pensioni: la riforma dell’ipocrisia
È ormai evidente che l’impronta della narrazione politica è l’ipocrisia elevata a modalità di gestione della cosa pubblica. Dire di non volere qualcosa, ma creare le condizioni oggettive per realizzarla. È quanto accade alla sempre verde riforma delle pensioni. La pantomima tra Draghi e i sindacati utili si è risolta non con un nulla di fatto, ma con la conferma della riforma Fornero intesa come età pensionabile a 67 anni definita dal Presidente del Consiglio come la normalità.
Il risultato delle sedicente trattativa è il seguente: fine quota 100, 2022 si va in pensione con quota 102, vale a dire aumento dell’età pensionabile di due anni a parametri fissi, quindi apertura di un tavolo per il 2023 in cui si agirà sempre e solo sulla flessibilità in uscita.
I dettami di Ocse e Ue sono attuazione della riforma Fornero e abolizione delle pensioni di reversibilità. Queste ultime necessitano ogni anno della presentazione del modello RED che viene fatto pagare esosamente, una vera e propria tassa. La vituperata quota 100 ha consentito la pensione a 350 mila lavoratori con un risparmio netto di 7 miliardi (utilizzati come ?) ma a che prezzo ?. calcolo contributivo, erogazione del tfr/tfs al compimento dei 67 anni e dal sessantasettesimo anno decorrono i due anni per l’erogazione. Forse poteva essere pensata e strutturata meglio.
La sbandierata flessibilità in uscita in realtà è un anticipo pensionistico finanziato dal lavoratore, sicuramente è un regalo alle imprese che vogliono disfarsi di forza lavoro, sostituendola con altra forza lavoro a minor costi e garanzie, quando succede, ma non solo. Lo spauracchio dell’età pensionistica a 67 anni serve a spingere i lavoratori ad utilizzare le cosiddette forme di flessibilità in uscita che prevedono tutte la rinuncia alla componente retributiva del calcolo pensionistico, accettando il calcolo contributivo su tutta la vita lavorativa. Il vero obiettivo di questa manovra è la quota retributiva che i lavoratori hanno ancora in pancia e questo consente un risparmio sulla spesa pensionistica consentendo la decontribuzione per le imprese.
Alcuni esempi: isopensione con un anno di anticipo – 16% con 5 anni –27% di pensione, opzione donna tra -25% a -35%, contratto di espansione assegno tagliato di un quarto con perdita economica fino a 122 mila euro per un pensionato di 82 anni, ape sociale - 13%.
Per i giovani va ancora peggio, calcolo contributivo e frammentarietà della vita lavorativa determinano una condizione pensionistica estremamente precaria. La soluzione che viene proposta subdolamente è la pensione integrativa che di solito eroga assegni da beneficienza. Il risultato è che un giovane per avere una pensione dignitosa (sic!) è costretto ad una doppia contribuzione, una parte per il sistema pensionistico e una parte per il fondo pensione. I fondi pensione nel 2020 hanno investito all’estero 120 miliardi di contributi dei lavoratori, finanziando economie ed imprese che sono la causa della insicurezza lavorative dei giovani. Come se non bastasse, al giovane assunto nella pubblica amministrazione viene sequestrato il tfs costruendo un’accumulazione finanziaria di lungo termine per la speculazione di soggetti a lui ignoti. Restano pensione di cittadinanza e pensione contributiva a 71 anni nonostante l’aspettativa di vita si sia ridotta di 1 anno e 2 mesi su base nazionale.