Primo incontro con il governo sulle pensioni: chiudere con l'era Fornero e riformare il sistema previdenziale
Si è aperto ieri il tavolo di confronto tra il Governo e le parti sociali per la definizione di un possibile intervento strutturale sul sistema pensionistico che superi lo scalone che si determinerà nel 2022, con la conclusione della sperimentazione triennale della cosiddetta quota cento, riportando a 67 anni l’età di pensionamento ed il tetto contributivo a 41 e 10 mesi per le donne, 42 e 10 mesi per gli uomini, (più l’aspettativa di vita).
Al tavolo erano presenti la ministra del Lavoro Catalfo, il presidente dell’INPS Tridico ed i rappresentati dei principali ministeri interessati (MEF e PA).
L’incontro si aperto con la proposta della ministra Catalfo di avviare l’istituzione di tre commissioni di lavoro tecniche sulla riforma generale (flessibilità in uscita), sulla separazione tra previdenza ed assistenza, sui lavori gravosi, lavori di cura, non autosufficienza e garanzia giovani, sulla previdenza complementare.
Le parti sociali sono state invitate a comunicare i nominativi dei tecnici che però potranno partecipare solo alle due ultime commissioni, riservando la partecipazione alla commissione sulla riforma generale solo ai tecnici dei vari ministeri coinvolti.
La ministra ha inoltre comunicato un calendario dei lavori che dovrà consentire la definizione delle prime proposte entro il mese di marzo, consentendo poi di arrivare a settembre con una quantificazione anche delle risorse finanziarie da inserire nella predisposizione del DEF.
Preso atto di tale impostazione la USB ha chiarito la sua posizione sintetizzandola in alcuni punti.
In primo luogo ha chiesto di fare chiarezza interrompendo la falsa comunicazione, fatta circolare già dalla riforma Dini, sulla non sostenibilità del sistema, prendendo atto al contrario che il sistema si autofinanzia ed anzi restituisce al Paese oltre 50 miliardi ogni anno con il prelievo fiscale sulle pensioni, cifra che lo stesso presidente dell’INPS Tridico ha quantificato durante l’incontro in 58 miliardi, a cui vanno aggiunti altri 3-4 miliardi di irpef locale.
Sui tetti in uscita, il limite massimo di 62 anni per l’accesso al pensionamento di vecchiaia ed i 41 anni come limite contributivo, che sono stati riportati dai mezzi di informazione, possono avere un senso solo partendo da un intervento risolutivo per l’abolizione del calcolo contributivo e dei coefficienti di trasformazione, che rappresentano un elemento di impoverimento delle pensioni, determinando tassi di sostituzione tra il 45% ed il 55% della retribuzione ante pensionamento.
Effetti che ovviamente gravano ancora di più sulle pensioni future dei giovani, vista la precarietà e la discontinuità dei rapporti di lavoro che si accompagna ad una retribuzioni assolutamente inaccettabile propria del fenomeno dilagante del lavoro povero.
La nostra proposta è di mantenere all’interno del sistema pensionistico almeno una parte dei 58 miliardi di tassazione sulle pensioni, consentendo di portare le pensioni minime a 1.000 euro, tetto che dovrebbe essere garantito a tutti coloro che escono dal modo del lavoro e, allo stesso tempo, abbassare il prelievo fiscale alla media degli altri paesi europei, in analogia a quanto si sta facendo con il taglio del cosiddetto cuneo fiscale sul lavoro, da cui i pensionati sono al momento esclusi, così come sono stati esclusi, insieme agli incapienti, dagli 80 euro del bonus Renzi.
Abbiamo inoltre avanzato l’ipotesi di fissare anche un tetto massimo alle pensioni di 5000 euro netti mensili, per impedire che a fronte di pensioni da poco più di 7.000 euro l’anno si eroghino scandalose pensioni da oltre 90.000 euro al mese.
Nel nostro intervento, abbiamo sottolineato la necessità di contrastare il fenomeno dell’evasione contributiva, che la Commissione Parlamentare di Controllo sugli enti previdenziali ha quantificato in oltre 140 miliardi, a cui si devono aggiungere quelli relativi alla decontribuzione concessa alle aziende collegata alle riforme del lavoro a partire dal 2015.
Altro punto, non meno importante, quello relativo alla necessità di intervenire sulle convenzioni con i paesi di provenienza dei migranti, consentendo a questi ultimi di poter ottenere un trattamento pensionistico o il recupero della contribuzione versata al momento del loro rientro nel paese di origine.
In ultimo, oltre alla richiesta di eliminare il vergognoso posticipo fino a 27 mesi del pagamento del TFS/TFR per i dipendenti pubblici, che al contrario dovrà essere erogato al momento stesso del pensionamento, abbiamo poi chiesto di predisporre e consegnare i fogli di calcolo delle pensioni e del TFS/TFR al momento della quiescenza, ed un intervento per l’equiparazione tra i lavoratori iscritti alle casse INPDAP e cassa INPS per il riconoscimento della contribuzione figurativa del part-time verticale.
Su questi due ultimi punti abbiamo ricevuto subito una risposta positiva sia da parte del presidente dell’INPS Tridico, con riguardo ai fogli di calcolo, e dalla ministra Catalfo che ha comunicato di aver individuato, insieme con il MEF, le risorse necessarie per la copertura dei periodi figurativi ipotizzando un intervento normativo nel cosiddetto mille proroghe.
Due risultati questi ultimi che la USB spera finalmente di riuscire a raggiungere dopo anni di dura battaglia.
Un primo incontro che ci auguriamo possa veramente segnare l’inizio di un riforma strutturale del sistema previdenziale del paese, a partire dalla separazione tra assistenza e previdenza, chiudendo definitivamente l’era della Legge Fornero e di tutti gli interventi sul sistema pensionistico utili solo a far cassa.
Roma 27/01/2020