Quale riforma delle pensioni?

Roma -

Chiarito che le nuove disposizioni in materia di pensionamento appena varate con la legge di bilancio non realizzano il superamento delle norme del governo Monti/Fornero, che restano pienamente in vigore, il ministro Marina Calderone ha convocato Cgil, Cisl, Uil, il giorno 19 gennaio 2023, per aprire un confronto sulla più generale riforma del sistema pensionistico, che appare sempre più necessaria dopo gli interventi parziali e discriminatori delle cosiddette quote (100/102/103).

Ancora una volta, dal tavolo di confronto si intende far arrivare all’opinione pubblica un messaggio con il quale il solo problema da affrontare è quello del raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi, tralasciando l’argomento ben più rilevante dell’importo delle pensioni definito con il calcolo contributivo, che è stato il vero intervento riformatore del governo Dini nel 1995 e del governo Monti nel 2011.

Con questi due interventi si è infatti trasformato radicalmente il sistema pensionistico cancellando il calcolo retributivo ed un sistema a ripartizione, introdotto nel 1969 dal governo Rumor, ministro del Lavoro Brodolin, che si era reso necessario a causa della fortissima svalutazione delle pensioni calcolate con il sistema contributivo nel periodo post-bellico.

Quindi con Dini e Monti/Fornero si torna al periodo prebellico, ad una concezione del sistema pensionistico di stampo liberale, nel quale ciascuno riceve una pensione in base a quanto versato nel proprio fondo pensionistico.

Una concezione superata con l’approvazione della nuova Carta costituzionale, dove si stabilisce invece (art.38) che sia lo Stato ad intervenire affinché ai lavoratori siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia e vecchiaia.

In quanto interesse collettivo il diritto alle prestazioni previdenziali discende solo dall’essere cittadino e la quantificazione di tale diritto dalle scelte di carattere politico del legislatore miranti al fine ultimo della liberazione dal bisogno. (M. Persiani “Diritto della previdenza sociale”).

L’intervento dei governi Dini e Fornero scardinano questi principi lasciando ciascun cittadino alle prese con la propria maggiore, minore o nulla capacità contributiva ed un futuro rischio di povertà.

Si torna all’impostazione dell’On. Berti, ministro dell’agricoltura, industria e commercio della fine del 1800, che escludeva un intervento diretto dello Stato per la costituzione della Cassa di previdenza in quanto: “Esso affievolisce l’energia individuale. La sicurezza che vi è un Ente tutorio che prevede e provvede scema negli uomini più operosi l’impulso al risparmio ed ingenera facilmente nelle classi popolari falsi concetti intorno ai doveri dello Stato e speranze e pretese esagerate” (INPS 1950).

Impostazione che sembra trovare ancora oggi ampia conferma nelle parole del prof. Brambilla (Itinerari previdenziali) sulla gravosità dell’aumento delle pensioni minime.

Per chiarire ancora meglio quale rivoluzione e scelta unidirezionale sia stata introdotta dalle riforme del 1995 e del 2011 si può fare riferimento a quei sistemi previdenziali dove la base di partenza è costituita dall’intervento della fiscalità generale, a cui affiancare una quota derivata dalla contribuzione complessiva, scongiurando così gli effetti negativi di una bassa o nulla contribuzione individuale.

Sono i sistemi dei cosiddetti paesi scandinavi citati dal CNEL (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) negli anni ’60, proprio nel momento in cui come oggi si rendeva necessaria la formulazione di un nuovo sistema previdenziale.

Date queste premesse, è facile capire che, per qualsiasi vera riforma, forse prima dei requisiti di uscita, i veri nodi da sciogliere sono l’Importo delle pensioni con il relativo sistema di calcolo ed il ruolo dello Stato rispetto alla definitiva affermazione di un modello di tipo assicurativo individuale e privato, che cancellerebbe lo spirito dell’art. 38 della Costituzione italiana.

Per la USB Pensionati la discussione su una nuova riforma non può prescindere da un primo chiarimento su tali spetti, argomenti del resto già affrontati in una proposta presentata al tavolo di confronto convocato dal ministro del Lavoro Nunzia Catalfo del governo Conte nel febbraio del 2020.

Noi ripartiamo da lì.

 

Divisione tra assistenza e previdenza;

Pensioni minime a 1.000 euro nette mensili;

Superamento calcolo contributivo ed abbandono del sistema di stampo assicurativo privato;

Superamento calcolo retributivo e tetto alle pensioni massime;

Adozione di un sistema di stampo nordeuropeo;

Superamento della frammentazione del sistema e ripubblicizzazione delle casse privatizzate;

Abrogazione di qualsiasi formula di silenzio assenso per l’adesione ai fondi pensionistici complementari;

Revisione del sistema di riconoscimento del TFR/TFS per i dipendenti pubblici e immediato ricorso al fondo Inps per i lavoratori del privato;

Revisione del sistema della reversibilità;

Pensione o indennità per i lavoratori migranti;

Prelievo fiscale in linea con la media dei paesi europei;

Indicizzazione delle pensioni all’inflazione reale;

 

USB Pensionati FdS

Roma 21 gennaio 2023